giovedì 14 luglio 2016


OrizzonteScuola - La scuola in un click

Immagine TFR
TFR, trattamento di fine rapporto, le trattenute sono legittime. Anzi no. Dopo una frettolosa doccia fredda indotta da una lettura veloce della sentenza della Corte Costituzionale n. 244 del 28 ottobre 2014, di cui abbiamo riferito nei giorni scorsi, l’interpretazione prevalente di questa sentenza è tutt’altro che pessimistica per i lavoratori.
Il MEF ha appena pubblicato sulla piattaforma Noipa un comunicato con il quale giudica la sentenza della Consulta una sorta di pietra tombale sulle speranze di quanti hanno agito o stavano per agire per la restituzione delle trattenute sul TFR, riguardante i docenti, gli Ata e i lavoratori pubblici a tempo determinato e indeterminato, comunicato che si aggiunge a un altro con il quale negli anni scorsi dissuadeva i lavoratori dal chiedere la restituzione delle somme.
Ma sono in tanti a ritenere infondata la presa di posizione dell’amministrazione. Il leader della Gilda, Rino Di Meglio, parla di “uso improprio dellasentenza della Suprema Corte” e sottolinea come la Consulta “non poteva pronunciarsi su tale tematica, né lo potrà in futuro, per un motivo semplicissimo, la trattenuta non è prevista da alcuna legge, ma da una semplice circolare dell’Inpdap (ora Inps)”. D’altra parte, l’Anief osserva che con questa sentenza, tutt’altro che negativa, “si ribadisce quanto già deciso con sentenza n. 223/2012”, mentre si dichiara legittima solo “la trattenuta per i dipendenti rimasti e transitati nuovamente in regime Tfs”.
Il sindacato invita tutti a inviare la diffida per bloccare i termini decennali di prescrizione‎ e a ricorrere per recuperare gli arretrati. Per capire meglio la questione abbiamo chiesto un’intervista all’avvocato Sergio Galleano, del Foro di Milano, uno dei maggiori esperti della materia, peraltri reduce dalla vittoria del 26 novembre scorso presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo dove patrocinava uno dei ricorsi contro la reiterazione dei contratti a termine nella scuola italiana.
Avvocato Galleano, la sentenza n. 244/2014 della Corte Costituzionale a detta di molti avrebbe spento tutte le speranze in merito alla illegittimità delle trattenute sul Tfr. Lei però non è d’accordo con questa interpretazione. Anzi ritiene che la sentenza sia addirittura positiva. E’ così?
“Sì, la sentenza conferma l’illegittimità della trattenuta per coloro che sono in regime di TFR”.
Facciamo un passo indietro e proviamo a fare chiarezza sui regimi di trattamento di fine rapporto e di fine servizio. Qual è la differenza? Quando è nata?
“Il trattamento di fine servizio, regolato dal DPR 1032 del 1973, prevede la corresponsione di un importo pari all’80 per cento dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore moltiplicata per gli anni di servizio. Il sistema è finanziato, tra l’altro, da un contributo del 9,60 per cento sull’80 per cento della retribuzione lorda a carico dell’Amministrazione di appartenenza, con diritto, della stessa, di rivalersi sul dipendente del 2,50 per cento di tale importo.
Il TFR, regolato dall’art. 2120 del codice civile, prevede invece che venga accantonata , al 31 dicembre di ogni anno, una percentuale (13,5 per cento) della retribuzione annua percepita per formare un monte che viene poi parzialmente rivalutato nel corso della vita lavorativa: l’importo del TFR, così calcolato, è a totale carico del datore di lavoro, nella misura del 6.91 per cento della retribuzione.
La convenienza del TFS per il lavoratore è evidente: l’importo corrisposto alla fine del rapporto di lavoro è calcolato sull’ultima retribuzione percepita, indipendentemente dalla carriera del lavoratore – in ipotesi assunto al primo livello e diventato dirigente solo nell’ultimo anno di servizio – mentre il TFR è legato, anno per anno, all’evoluzione retributiva del lavoratore. Il primo è dunque sempre maggiore del secondo. In pratica, può verificarsi una differenza di parecchie migliaia di euro, talvolta decine, tra i due trattamenti”.
In effetti i due regimi si discostano molto l’uno dall’altro. E allora perché le amministrazioni hanno continuato a mantenere la trattenuta ai fini del Tfs anche a carico di coloro che sono in regime Tfr, dando vita alla denunciata disparità di trattamento dei dipendenti della PA rispetto ai dipendenti del settore privato?
“Occorre risalire alla riforma pensionistica del 1995 (legge Dini 335/95) che prevedeva l’istituzione della previdenza complementare, da finanziarsi anche attraverso i risparmi conseguenti all’introduzione del TFR al posto del TFS. L’operazione è stata concretamente attuata nel 1999 con l’accordo quadro del 29 luglio, poi recepito dal DPCM 20.12.1999, dove si prevede l’applicazione del TFR per coloro che optano per la previdenza integrativa – il famoso fondo ‘Sirio’, poi sostanzialmente finito nel nulla per mancanza di adesioni – e, con l’occasione, anche per i lavoratori assunti a partire dal 1° gennaio 2000 e per tutti i precari pubblici.
L’accordo prevede, al comma 2, che per coloro che passano al TFR non si applica più la trattenuta del 2,5 per cento ma, al comma 3, con una formulazione volutamente confusa e contorta, dispone che, contemporaneamente, la retribuzione mensile viene ridotta dello stesso importo della trattenuta appena eliminata, giustificando tale sostanziale decurtazione retributiva con lo scopo di assicurare ‘l’invarianza della retribuzione dei dipendenti’.
In pratica, con un lungo giro di parole, si è prima tolta e poi reintrodotta la trattenuta in modo da evitare che i dipendenti che passavano al TFR percepissero in busta paga a fine mese una retribuzione mensile maggiore di coloro che rimanevano con il TFS. Si tratta evidentemente di una sciocchezza, poiché se è vero che i lavoratori a cui si applica il regime del TFR si sarebbero ritrovati con una retribuzione mensile maggiorata del 2 per cento – ovvero senza la trattenuta del 2,5 sull’80 per cento della retribuzione – è altrettanto vero che a fine rapporto percepiranno importi notevolmente inferiori a quelli che godono ancora del TFS.
Dunque l’accordo quadro, poi recepito nel DCPM, invece di garantire l’invocata ‘uguaglianza di trattamento’, con il meccanismo dell’eliminazione prima e della reintroduzione della trattenuta poi, crea invece una vistosa disparità di trattamento non solo tra dipendenti pubblici e privati ma anche tra gli stessi impiegati statali, poiché la retribuzione complessiva del lavoratore va calcolata cumulando lo stipendio con il trattamento di fine rapporto.
Ed è evidente che, a parità di stipendio mensile, vi è chi – col TFS – a fine rapporto percepisce un importo notevolmente superiore ad un altro, col TFR. Del tutto a sorpresa, poi, il nuovo regime veniva esteso, oltre a coloro che optavano per la previdenza integrativa, anche ai dipendenti assunti dal giorno successivo alla data di approvazione del DCPM, ovvero il 1° gennaio 2000. E ciò, si legge al comma 4, sempre per ‘garantire la parità di trattamento dei rapporti di lavoro’. Il comma 9, infine, prevede che lo stesso regime - persistenza della trattenuta e applicazione del regime TFR - vale anche per i lavoratori a tempo determinato”
Perché questo tipo di operazione?
“Sui motivi di tale decisione posso dire che io nel 2011 venni incaricato da un sindacato nazionale di promuovere un contenzioso per il recupero di tali trattenute. Nella preparazione della causa ebbi modo di parlare con uno dei sindacalisti firmatari dell’accordo del luglio 1999 il quale mi disse che a fronte dell’intenzione del Governo di prevedere il passaggio dei nuovi assunti al TFR, i sindacati posero la questione dell’eliminazione della trattenuta del 2,5 per cento, ma si sentirono rispondere che ‘non vi erano soldi’.
Si aprì quindi la trattativa che portò al temperamento della riduzione retributiva limitandola alla sola retribuzione mensile e giustificandola, come si è detto, con la ‘necessità’ di mantenere l’invarianza della retribuzione, senza estenderla al trattamento pensionistico e al conteggio del TFR (e tanto risulta infatti dal comma 3 del DPCM). Insomma, la discriminazione è stata attenuata, ma sempre di discriminazione si tratta”.
E così sorto un contenzioso amministrativo e giurisdizionale sfociato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 10, comma 12 del Decreto legge n. 78/2010, per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Quanto furono importanti le conseguenze di quella sentenza? Fecero ricorso anche i giudici in qualità di dipendenti pubblici.
“L’Esecutivo, con il D.L. 78/2010, oltre che applicare il primo blocco agli stipendi pubblici, all’art. 12, comma 10, disponeva anche il passaggio al TFR di tutti i dipendenti che ancora godevano del TFS. I giudici italiani ricorsero in massa avanti ai TAR, ottenendo svariate ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale la quale, nel giro di pochi mesi, dichiarò l’incostituzionalità sia del blocco degli stipendi che della trattenuta del 2,5 per cento a seguito del passaggio al TFR.
Ma mentre l’incostituzionalità del blocco era motivata per il fatto che la retribuzione percepita dai giudici era garanzia per l’imparzialità della loro delicata funzione giurisdizionale – infatti il blocco di tutti gli altri dipendenti pubblici fu ‘salvato’ dalla sentenza 310/2013 – quello relativo alla trattenuta del 2,5 per cento veniva motivato con la disparità di trattamento con i lavoratori privati. Con la conseguenza che la pronuncia valeva, in pratica, per tutti e non solo per i magistrati”.
Pochi giorni dopo, il governo corse ai ripari con il decreto legge 185/2012. Lo fece per frenare gli effetti della sentenza? Cosa prevedeva?
“A seguito della sentenza 223 del 2012 lo Stato avrebbe dovuto restituire ai lavoratori interessati tutte le trattenute del 2,5 per cento indebitamente effettuate nel 2011 e nel 2012. Poiché non si volevano tirare fuori i soldi – era anche il periodo del controllo europeo sui conti italiani – si scelse, come al solito, di rinviare il problema e il Governo, con il D.L. 185/2012, abrogò l’art. 9 comma 10 del D.L. 78/2010 e ripristinò il TFS per coloro ai quali era stato sostituito dal TFR, così legittimando ex post la trattenuta operata e facendo venire meno la materia del contendere”.
Tuttavia il decreto 185 decadde perché non fu poi trasformato in legge dal Parlamento. Però in tanti e la stessa amministrazione ritengono che la normativa sia rientrata in gioco grazie alla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Legge di Stabilità per 2013.
“Esatto. Il D.L. n. 185 del 2012 è decaduto per mancata conversione in legge, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge n. 228 del 2012”.
In ogni caso, dopo la sentenza della Consulta, i sindacati hanno invitato gli iscritti a chiedere la restituzione delle somme, ma solo ai fini dell’interruzione dei termini di prescrizione. Mentre sono state avviate varie azioni giudiziarie volte a ottenere il blocco della trattenuta e la restituzione di somme ritenute indebite. Come sono andate a finire?
“Vi sono sentenze positive e sentenze negative. Queste ultime non sono affatto convincenti. Il Tribunale di Milano, ad esempio, nella sentenza 2084/2014 sostiene che non vi sarebbe discriminazione in quanto dopo il 2000 i lavoratori sarebbero stati assunti in un non ben precisato contesto socio economico diverso e non possono quindi pretendere un trattamento previdenziale uguale a quelli assunti in precedenza e che la decurtazione retributiva dello stipendio mensile sarebbe giustificata con la parità di trattamento di cui all’art. 45 del Testo unico sul Pubblico impiego.
E’ facile replicare che la prima parte della motivazione ha poco di giuridico e molto di politico, perché la differenza di trattamento deve esser basata su fatti oggettivi legati all’attività svolta e tale non è il semplice periodo dell’assunzione - peraltro nel 2000 la ‘crisi’ attuale neppure era ipotizzabile – mentre la seconda è palesemente contraria ai principi internazionali ed europei.
Qui basta ricordare che art. 14 della Convenzione OIL 117 del 1962 prevede che la retribuzione sarà stabilita in conformità del principio ‘a lavoro eguale, eguale retribuzione’ sia nella stessa impresa che nello stesso settore e che l’art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata all’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1984, che stabilisce che ‘ogni uomo, senza discriminazione, ha diritto ad uguale retribuzione per uguale lavoro’.
Nello stesso senso si esprimono in sede europea gli art. 20 e 31 Trattato di Nizza e in sede nazionale, l’art. 3 Costituzione. L’art. 45 D.Lgs. 165/2001 è espressione di tali principi e non consente quindi certamente che il vicino di scrivania che svolge le stesse identiche mansioni del nuovo assunto riceva una retribuzione maggiore, costituita dal TFS che percepirà a fine rapporto. La pretesa dello Stato italiano è invece che a un lavoratore che giustamente dovrebbe percepire uno stipendio maggiore a compensazione delle operate riduzioni delle competenze di fine rapporto , gli si deve tagliare la retribuzione per non creare discriminazioni con i colleghi. Un vero obbrobrio giuridico, oltre che logico”.
Il Giudice del Lavoro di Belluno, su ricorso patrocinato dalla Gilda, ha concesso un decreto ingiuntivo con provvisoria esecutività per la restituzione della ritenuta alla dipendente. Mentre a seguito di procedura processuale ordinaria, il Tribunale di Roma a novembre 2013 con una sentenza storica ha ordinato la restituzione della trattenuta in questione ad alcuni dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Insomma, qualcosa si era mosso.
“Certamente. La sentenza del dott. Di Stefano del Tribunale di Roma è una decisione ben motivata, anche se sbaglia, a mio parere, sulla prescrizione. Si tratta infatti, nel nostro caso, non di differenze retributive, la cui prescrizione è di cinque anni, ma di azione di ripetizione di indebito – le trattenute operate – a cui si applica la prescrizione decennale”.
Infine il Tribunale di Reggio Emilia, adito da alcuni dipendenti pubblici, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. Quali erano i dubbi dei giudici emiliani?
“L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia era inevitabile che fosse rigettata. Si è già spiegata l’operazione fatta dal Governo dopo la sentenza 223 del 2012. Ripristinando dall’origine il regime del TFS per i lavoratori già in servizio al 1° gennaio 2000 ha reso legittime le trattenute effettuate negli anni 2011 e 2012, facendo venir meno la ragione per cui la causa era stata fatta”.
E veniamo al punto iniziale. La Corte Costituzionale, con la sua sentenza 244 del 28 ottobre 2014, ritenuta svantaggiosa per i lavoratori da molti commentatori, ha sancito che iltrattamento di fine servizio è “migliore” rispetto al trattamento di fine rapporto per cui il fatto che il dipendente partecipi al suo finanziamento, con il contributo in questione non integra un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al dipendente che ha diritto al trattamento di fine rapporto. Perché lei sostiene che non si tratta di una sentenza negativa ma che addirittura sia favorevole ai possibili ricorrenti?
“Proprio per quel ragionamento. Il contributo non integra una disparità di trattamento se finalizzato a partecipare alla costituzione di competenze di fine rapporto che sono, nel loro complesso, ‘migliori’ di altri trattamenti: appunto, il TFS. A contrariis se ne deduce che il contributo non è giustificato in presenza di un trattamento di fine rapporto, il TFR, che è invece ‘peggiore’ rispetto al TFS. Mi sembra molto semplice”.
La Corte ha inoltre escluso che sia illegittima l’estinzione dei processi in corso. Che cosa significa?
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“Obiettivamente, su questo punto, la Corte ha ragione essendo, come già detto, cessata la materia del contendere. Peraltro la questione posta dal Tribunale di Reggio Emilia riguardava la asserita compensazione delle spese di causa che la Consulta afferma non essere stata prevista dalla legge con la quale, per il vero, si dispone l’estinzione di diritto delle cause, sicché è opinabile che il Giudice potesse liquidare le spese, ma questa è un’altra questione”.
Il Mef ha appena diramato un comunicato sul portale Noipa e con esso ha ribadito l’importanza della sentenza ultima della Consulta informando che non sono accoglibili le richieste di cessazione e restituzione delle ritenute in questione. Il leader della Gilda, Rino Di Meglio, osserva che è singolare che l’INPS tenti ora di confondere le idee, utilizzando in modo improprio la sentenza della Suprema Corte. Qual è il suo parere?
“L’Inps cerca di tirare l’acqua al suo mulino. E’ chiaro che il riconoscimento del diritto alla restituzione della trattenuta operata mette in gioco una quantità enorme di denaro. In questa situazione lo Stato italiano tenterà di tutto per sottrarsi all’obbligo di doverlo fare, ma, come si è visto, non paiono esservi molte vie d’uscita: la trattenuta era legata al meccanismo di formazione del TFS. Mutato il regime la trattenuta non ha più ragione d’essere perché il TFR costa meno. Non a caso il DCPM del 1999 è costretto a fare una complicata operazione, eliminazione della trattenuta prima e riduzione della retribuzione poi, giustificata con la parità di trattamento. Era più semplice dire che la trattenuta restava anche con il TFR, ma così il gioco sarebbe stato scoperto subito”.
Sempre Di Meglio ritiene che la Corte Costituzionale non poteva pronunciarsi su tale tematica, né lo potrà in futuro, per il motivo semplicissimo che la trattenuta in questione per coloro che, assunti a partire dal 2000, si trovano in regime di TFR, non è prevista da alcuna legge, ma da una semplice circolare dell’Inpdap, ora Inps. Cosa ne pensa?
“La persistenza della trattenuta per gli assunti dopo il 2000 è stabilita da un DCPM che recepisce un accordo sindacale previsto espressamente dalla finanziaria 1999 (legge 448 del 1998). Altra cosa è che l’accordo sindacale sia andato oltre la delega della finanziaria. Come si è detto all’inizio la trasformazione del TFS in TFR era inizialmente finalizzata a finanziare la previdenza complementare che non è mai decollata. Il Governo ha insistito per l’estensione del TFR anche per gli assunti dal 1° gennaio 2000 – e per i precari – senza però togliere la trattenuta del 2,5 per cento. I sindacati, nei termini che sono spiegati, hanno ceduto in parte, salvando la parte ‘contributiva’ – TFR e pensioni – ma consentendo una ingiustificata diminuzione retributiva sulla retribuzione mensile”.
Pare di capire dunque che chi ha un processo in corso possa stare tranquillo. Lei invita gli insegnanti e gli altri impiegati pubblici che non abbiano ancora fatto ad agire in giudizio?
“Da quanto detto, ritengo che la questione sia tutta da giocare. Con gli avvocati Vincenzo De Michele e Tommaso De Grandis, insieme ai quali ho studiato a fondo la questione, si è concluso che sotto il profilo giuridico i lavoratori hanno pienamente ragione. Sotto quello politico vogliamo proprio vedere con quale coraggio i giudici potranno avallare un vero e proprio ‘scippo’ in danno di lavoratori che è già stato ritenuto incostituzionale quanto è stato applicato alla magistratura. Noi siamo intenzionati ad andare avanti, eventualmente anche con un passaggio alla Corte Costituzionale e a quella europea di Lussemburgo per violazione del principio di parità di trattamento, come si è visto, universalmente riconosciuto”.

Fonte:http://www.orizzontescuola.it/NEWS/COLPO-SCENA-TRATTENUTE-SUL-TFR-SONO-ILLEGITTIME-E-VANNO-RESTITUITE-AI-LAVORATORI-PUBBLICI

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lunedì 4 luglio 2016

Abuso dei Contratti a Termine: novità dalla Corte Costituzionale?

Abuso dei Contratti a Termine: novità dalla Corte Costituzionale?


Reiterazione dei contratti a termine. La Corte Costituzionale ha pubblicato oggi sul proprio sito istituzionale, e dopo un mese e mezzo dai fatti, il video integrale dell’udienza pubblica del 17 maggio 2016 sul precariato scolastico e sul precariato pubblico in generale.

Dal video emerge la conferma di quanto avevamo anticipato nell’intervista del 20 maggio scorso all’avvocato Vincenzo De Michele, legale dei lavoratori, in merito alle posizioni dell’avvocatura dei lavoratori e alle tematiche affrontate all’udienza pubblica. Innanzitutto, con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia la Corte costituzionale si è riconosciuta anche formalmente giurisdizione, cioè si è sostituita alla Cassazione che con la sentenza n. 10127/2012 aveva negato ogni tutela ai docenti precari scolastici, affermando che la normativa sul reclutamento scolastico era compatibile con l’ordinamento comunitario. Ricorda De Michele che il Governo Letta con il D. L. n. 104/2013 per la scuola e i Conservatori di musica (e con il D.L. n.101/2013 per il pubblico impiego non scolastico) aveva immediatamente tracciato un percorso pluriennale di stabilizzazione di tutti i precari pubblici che avessero maturato i 36 mesi di servizio, grazie al ripristino del meccanismo del doppio canale per gli esiti del concorsone del 2012.

Da questo piano sono scaturite le immissioni in ruolo dei docenti e del personale Ata per l’anno scolastico 2013/2014, dei soli docenti per gli anni scolastici 2014/2015 e 2015/2016, compresi i contingenti della c.d. “Buona scuola” con le fasi 0, A e B, “salvo per la fase B – precisa De Michele – il singolare divertimento informatico di sopprimere le cattedre effettivamente disponibili per costringere alla mobilità territoriale decine di migliaia di docenti, per poi ‘salvarli’ in gran parte – tranne la ricorrente dell’ordinanza n. 249/2012 del Tribunale di Lamezia Terme, costretta a trasferirsi dalla Calabria a Varese per avere una stabilità lavorativa che già la sentenza Mascolo avrebbe dovuto garantirle nell’originaria sede di residenza – facendo ricomparire le cattedre sotto forma di supplenze su organico di fatto, dopo aver negato il diritto e nascosto il vero organico”.

In sede di discussione l’avvocatura dei lavoratori ha sollecitato l’intervento risolutivo della Consulta, con la declaratoria di incostituzionalità delle tante norme che continuano ad impedire la tutela effettiva dei lavoratori precari in tutto il pubblico impiego, anche non scolastico, nella parte in cui non consentono l’applicazione della sanzione effettiva riconosciuta al punto 55 della sentenza Mascolo del 26 novembre 2014 della Corte di Giustizia e dalla sentenza n. 27363/2014 della Cassazione della stabilità lavorativa al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi: l’art.36, commi 5, 5-ter e 5-quater, d.lgs. n. 165/2001; l’art.4, comma 14-bis, della legge n.124/1999; l’art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001; l’art.29, comma 3, d.lgs. n.81/2015.

E’ stato chiesto, dunque, alla Corte Costituzionale di applicare integralmente i principi della sentenza Mascolo, come la Corte aveva già fatto con la sentenza Cartabia-Sciarra n. 260/2015 sui precari pubblici delle Fondazioni Enti lirici, in quel caso addirittura consentendo al Giudice del merito la conversione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro per il mero vizio genetico della mancanza di ragioni oggettive temporanee per ogni singolo contratto a tempo determinato.

E’ stato affermato, dai legali dei lavoratori, che la legge n.107/2015 non ha risolto nessuno dei problemi del precariato scolastico, anzi li ha aggravati creando situazioni di abnorme discriminazione, per aver immesso in ruolo con la fase C decine di migliaia docenti “casualmente” inseriti nelle graduatorie ad esaurimento senza neanche un giorno di servizio nella scuola pubblica, mentre decine di migliaia di supplenti (oltre 100.000 al 30 giugno 2016, secondo gli stessi dati ministeriali), cioè insegnanti di sostegno, docenti ITP, abilitati Pas e Tfa, diplomati magistrali, iscritti nelle graduatorie di III fascia, ecc., come tutto il personale Ata, pur avendo maturato i 36 mesi, sono costretti ad insegnare in modo precario.

Al fallimento della riforma si è aggiunto, sempre da parte dell’avvocatura dei lavoratori, il fallimento della soluzione giurisprudenziale adottata dalle Sezioni unite della Cassazione, evidenziando che, se non interverrà la Corte costituzionale a riportare l’ordinamento interno a condizioni di tutela accettabile ed equivalente a quella dei precari nell’impiego privato, il contenzioso subirà un aumento esponenziale con decine di migliaia di cause in tutte le sedi giudiziarie, compresa la Corte europea dei diritti dell’uomo e nuovamente la Corte di giustizia, a causa della flagrante violazione delle regole del giusto processo e della normativa comunitaria da parte del Giudice di ultima istanza.

“Infine – commenta l’avvocato Vincenzo De Michele – si è ricordato lo straordinario atto di stile e di dignità del Presidente della Repubblica che, con il decreto n. 29/C/2016 di cui ha dato informazione soltanto il giornale Il Fatto quotidiano, ha disposto la stabilizzazione dei precari del Quirinale che hanno superato i 36 mesi di servizio, in applicazione della normativa interna e dei principi europei, nonostante l’Organo costituzionale non sia obbligato ad attuarli.

Lanciando in questo modo un chiaro segnale per tutti nella direzione della stabilizzazione di tutti i rapporti precari nel pubblico impiego, anche nei confronti della Corte costituzionale, di cui il Presidente Mattarella era Giudice ed Estensore dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale Ue, decisa dalla sentenza Mascolo, che le Sezioni unite si rifiutano di applicare assecondando il legislatore della pessima riforma della cattiva scuola e della precarizzazione dei rapporti di lavoro pubblici e privati del Jobs act”.


Link video udienza


Fonte: http://www.lentepubblica.it/scuola/abuso-dei-contratti-corte-costituzionale


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sabato 2 luglio 2016

Regione Sicilia - OGGETTO: "Cabina di regia regionale per il precariato degli enti locali" costituita con D.P.Reg. n. 547/Gab del 16/05/2016 - Convocazione


https://drive.google.com/open?id=0B8foPgt9vhLQWk9KbzFfeDd0Tmc



Fonte: ARS 

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venerdì 1 luglio 2016

VIDEO - SCIOPERO GENERALE DEI LAVORATORI PRECARI ENTI PUBBLICI REGIONE SICILIA PALERMO - GIOVEDÌ 30 GIUGNO 2016








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